Primi passi
Hai deciso di passare a Linux ma non sai da che parte cominciare?
Il seguente brano riflette un rischio nell’apprendimento e utilizzo delle nuove tecnologie e l’orientamento del ruolo della scuola; è tratto da un libro di Carlo Formenti che potete scaricare da qui (o qui) :-)(-:
Per avere conferma che le tesi di Carr non sono campate in aria, basta leggere le argomentazioni di Wim Veen e Ben Vrakking15, due ricercatori olandesi che spiegano come dovrebbe essere affrontato, a loro parere, il problema della formazione dei digital natives o dell’homo zappiens, come i due preferiscono definirli. Per questi ragazzi, scrivono, la scuola rappresenta un aspetto marginale della vita rispetto ad altri assai più importanti, primo fra tutti l’essere costantemente in rete con gli amici; la loro domanda di conoscenze e informazioni – ma soprattutto il modo in cui tale domanda viene soddisfatta – non nascono da percorsi di ricerca individuali bensì da emozioni, pratiche e decisioni collettive, condivise dal gruppo di riferimento; per loro i contenuti della conoscenza non contano in quanto tali, ma assumono significato e rilevanza esclusivamente in relazione alla situazione contingente; la maggior parte delle conoscenze e delle informazioni che desiderano ottenere è a un click di distanza, per cui esigono risposte immediate e rifiutano di perdere tempo leggendo libri; infine la maggior parte di essi non prova interesse per le tecnologie in quanto tali, si limita a usarle.
Insomma un’immagine perfetta del soggetto amputato: incapacità di pensiero profondo, zero memoria, dipendenza dal gruppo e da un ambiente tecnologico di cui si ignorano i principi di funzionamento e l’impatto che esercita sulla nostra personalità. Eppure i due pedagoghi olandesi non sembrano temere che simili caratteristiche possano ridurre i loro homo zappiens a homo zombie, marionette nelle mani di imprese che la tecnologia la progettano, non la subiscono. Al contrario: sostengono che la scuola deve abbandonare ogni pretesa «formativa» nei confronti di questa materia prima intellettuale, limitandosi a fornire un «servizio» che venga incontro alle esigenze dei «nuovi clienti». Le aziende hanno bisogno di una forza lavoro sempre più flessibile, creativa e dotata di autonome capacità imprenditoriali (leggi: disposta ad accettare il precariato e ad assumere in prima persona una quota dei rischi imprenditoriali); una forza lavoro che non perda tempo a porsi domande «profonde», ma sappia scivolare agilmente sulla superficie di conoscenze e informazioni assemblate a colpi di click, operando in multitasking e reagendo fulmineamente agli input del momento.Insomma: la scuola come ufficio tempi e metodi per addestrare i knowledge workers al taylorismo digitale del XXI secolo.